Sabato
19 dicembre 2009. Ore 4.55: è l’alba. Anzi, neanche l’alba. È ancora buio
pesto. Io abito in una mansarda e forse fuori, tra i tetti incrostati di brina,
si vede la finestrina illuminata. Nessuno sa che io sono qui. Dove? bagno, nel
mio graziosissimo bagno rosa in Bisazza, seduta sul water, con in mano un test
di gravidanza.
Mio
marito non sa nulla. Russa come un trattore nella stanza di fronte. Non s’immagina
neanche che io, da qualche giorno a questa parte, mi sento strana. Strana come?
Mah, è qualcosa che non si può spiegare. È Madre Natura che, da migliaia di
anni, probabilmente molto prima che esistessero i test di gravidanza, ti fa
capire che qualcosa sta cambiando.
Ciascuna
donna avverte questo cambiamento a suo modo: con un celestiale spirito materno
che comincia a impadronirsi di te pervadendo, tramite crescenti e soffuse
scariche di ormoni, ogni tua fibra o tramite una meno celestiale nausea
ininterrotta, le tette indolenzite e strane perdite di ogni consistenza e
colore. In qualche modo i segnali ci sono, li puoi captare. Io, per esempio, me
ne sono accorta uscendo dall’analista: ho incontrato un’amica al settimo mese
di gravidanza e, mentre scambiavamo due parole e osservavo di sottecchi quell’ingombrante
protuberanza che s’intravedeva anche sotto il cappotto, sono stata presa da una
nausea momentanea e folgorante. Sul momento non ci ho fatto molto caso: ancora
intorpidita dall’atmosfera calda e avvolgente della seduta appena conclusa ho
pensato che magari ero troppo suggestionabile. Una fugace gravidanza isterica!
Oppure un inconscio rifiuto dell’esperienza di maternità? O il riattivarsi di
tracce arcaiche di un pessimo rapporto tra me e mammà?
Dopo
alcune tappe riluttanti in farmacia, dove, prima di decidermi a compare il
test, ho fatto scorta di cerotti, Cibalgina, shampoo specifico per capelli
secchi, fermenti lattici e burro cacao all’aloe, ho finalmente acquistato il
mio dispositivo medico CE con indicatore di concepimento e ora sono qui che me la faccio sotto.
O meglio,
devo centrare la perfida striscetta per ottenere il responso: m’ama o non m’ama?
Mamma o non mamma?
Centro
il bersaglio e aspetto: un minuto, due minuti… Tre… Respira a fondo: incinta.
Da 1-2 settimane, precisa anche lo zelante dispositivo.
Mi
risiedo sul water. Penso: «nulla sarà più come prima». Nel bene e nel male. Il
mio pensiero corre come una saetta alla camera in fondo al corridoio: la
chiamiamo “il tugurio” perché dopo il trasloco è diventata il refugium
peccatorum di tuttequellecosechenonsaidovemettere. E nel giro di nove mesi
devo farla diventare “la cameretta”. Ho abbastanza tempo?
Intanto
piango: finalmente i miei ormoni possono darsi alla pazza gioia uscendo allo
scoperto e, proprio come a Capodanno, esplodono in tutto il loro splendore di
fuochi artificiali. Ecco il primo maremoto. Sono incinta. Avrò un bambino.
Anzi, una bambina. Ne sono certa.